Modelli di Musicoterapia

Esistono diversi modelli di riferimento in Musicoterapia, portati avanti da altrettante Scuole di pensiero e di Formazione nel mondo; in particolare il Congresso Mondiale di Musicoterapia, tenutosi a Waschington nel novembre 1999, ha presentato i cinque modelli musicoterapici validi più impiegati nel mondo: tre metodi di musicoterapia attiva e due di musicoterapia recettiva.

Il modello di Nordoff – Robbins: Musicoterapia creativa o umanista

Questo modello venne creato tra il 1959 e il 1976 da Paul Nordoff, compositore e musicista di fama internazionale che, durante un concerto per bambini disabili, percepì un aumento dell’attenzione dei piccoli durante l’esecuzione di un componimento al pianoforte. A partire da questo momento, e insieme a Clive Robbins, professore di pedagogia speciale, iniziò a sviluppare un sistema di giochi e strategie musicali di gruppo con l’obiettivo di migliorare le capacità dei soggetti e promuovere l’integrazione dei bambini con disabilità.

Si parla di musicoterapia “creativa”, poichè questo modello prevede un lavoro creativo del musicoterapeuta su tre livelli.
Il primo consiste nella creazione e nell’improvvisazione della musica, utilizzata successivamente durante le sessioni.
Il secondo momento creativo è quello che utilizza l’improvvisazione musicale, durante ogni sessione, per mantenere un dialogo non verbale con il paziente.
Il terzo momento è una progressione di sperimentazioni musicali tra il musicoterapeuta e il gruppo, con il fine di creare musica insieme.

Questo metodo si basa sul principio che ogni essere umano ha una capacità musicale innata ad ogni modo si decide il materiale principale per le sessioni in base alle attitudini dei partecipanti.

Tutti i partecipanti producono musica e, l’improvvisazione, tanto ritmica quanto musicale o canora, ricopre un ruolo molto importante. I partecipanti si esprimono liberamente attraverso le proprie emozioni e sensazioni del momento. Le sessioni di musicoterapia basate su questo modello presentano le seguenti caratteristiche:

  1. Si utilizza sempre una musica di benvenuto per creare un clima di fiducia e per introdurre le persone alla sessione. Con lo stesso scopo viene utilizzata una musica di congedo per facilitare la chiusura delle sessioni.
  2. È necessario che il musicoterapeuta abbia elevate competenze musicali. Il modello originale di musicoterapia prevede due musicoterapeuti: uno si dedica a suonare uno strumento (originariamente solo il pianoforte, attualmente si utilizza sia il pianoforte sia la chitarra), l’altro ha il compito di avvicinare i partecipanti al canto o ad altri strumenti di facile impiego come strumenti cordofoni o percussioni. È necessario, inoltre, poter disporre di diversi strumenti all’interno del setting.
  3. Dal momento che si tratta di un modello focalizzato sull’espressione più che sulla recettività, è necessario che i partecipanti abbiano un livello minimo di attenzione e concentrazione.
  4. Non è necessario che i partecipanti abbiano un’educazione musicale.
  5. Sebbene inizialmente si utilizzasse prevalentemente con bambini con problemi fisici, affettivi o cognitivi, oggi questo metodo risulta essere appropriato per persone di qualsiasi età.

Per maggiori informazioni il sito ufficiale: https://www.nordoff-robbins.org.uk/

Il modello analitico

Questo modello è stato creato nel 1975 dalla violinista e musicoterapeuta inglese Mary Priestley ed è un modello teorico che unisce psicoanalisi e musicoterapia. Esso si basa sull’uso della parola e della comunicazione non verbale durante le improvvisazioni musicali. Non si lavora su temi specifici: l’improvvisazione può essere stimolata da sentimenti, idee, immagini, fantasie o ricordi su cui è importante lavorare.

Le improvvisazioni musicali verbali (canzoni) e non verbali (strumenti e danza), oltre a creare relazioni nel gruppo, vengono studiate dal musicoterapeuta per analizzare il vissuto dei partecipanti. L’intenzione è quella di permettere al gruppo, o al singolo individuo, di individuare le proprie emozioni, le proprie necessità, riuscire ad esprimersi o capire i propri comportamenti. La musica viene utilizzata come strumento per stimolare la creatività ed incrementare l’autoconsapevolezza individuale e di gruppo. Ciascuna sessione è costituita dalle seguenti fasi basilari:

  1. Riconoscimento dei “temi” da utilizzare durante l’improvvisazione, capire ciò che è significativo per i partecipanti in un determinato momento.
  2. Definire i ruoli dei partecipanti e della persona che guiderà le sessioni durante l’improvvisazione. Solitamente sono i partecipanti stessi a scegliere gli strumenti con i quali improvvisare e la persona incaricata ad accompagnarli suonerà un altro strumento.
  3. Improvvisazione musicale, verbale o strumentale.
  4. Discussione dei significati e delle conclusioni circa l’improvvisazione.

Inizialmente questo metodo veniva utilizzato per pazienti adulti con problemi psichici; attualmente, anche se continua ad essere maggiormente utilizzato per casi clinici, si è esteso a bambini e adolescenti con problemi comportamentali e in generale per lo sviluppo personale dei partecipanti.

Il modello di Benenzon

Questo modello venne presentato nel 1999 dal musicoterapeuta e psichiatra argentino Rolando Benenzon e combina due teorie psicologiche: umanista e psicoanalitica. A differenza di altri modelli basati sulla psicologia del suono, questo modello si interessa anche degli effetti biologici del suono.

I principi fondamentali di questo modello sono:

Il principio dell’ISO, o identità sonora, definito come il fenomeno interno che riassume tutte le esperienze sonore di ciascun essere umano, capaci di caratterizzarlo e distinguerlo dagli altri. Questa identità dipende da tutte le esperienze vissute, dalla nascita fino al momento presente. Si costruisce nel tempo ed è in continuo movimento. È un principio dinamico che dipende dalle circostanze. Il principio ISO è dunque un concetto totalmente dinamico che sintetizza la nozione dell’esistenza di un suono o di un insieme di suoni o di fenomeni acustici e di movimenti interni che caratterizzano e individualizzano ogni essere umano.

R. Benenzon distingue diversi tipo di ISO per ciascuna persona:

» ISO Universale: è un’identità sonora che caratterizza tutti gli esseri umani indipendentemente dal contesto sociale, culturale o storico e psicofisiologico (come per esempio il battito cardiaco, i suoni di ispirazione ed espirazione, il sussurro della voce della madre, il rumore dell’acqua).

» ISO Gestaltico o culturale: corrisponde alle sonorità proprie di ogni individuo e che caratterizzano la sua personalità. Sono ereditarie o sviluppate durante la crescita e derivano dal mondo esterno, naturale e sociale, all’interno del quale l’individuo cresce e si sviluppa. Ogni individuo nato e cresciuto in una comunità si porterà dentro per tutta la vita tale ISO culturale anche nel caso di un cambiamento totale di ambiente di vita. È l’ISO che permette di scoprire il mezzo di comunicazione per eccellenza di ciascun individuo.

» ISO di Gruppo: questa identità definisce un determinato gruppo, all’interno del quale esiste un certo livello di comunicazione e di relazione tra gli individui. In questo gruppo si fondono e confondono i principi ISO di ciascun componente e per questo dipendono dallo schema sociale prestabilito. E’ l’identità sonora di un gruppo umano prodotto dalle affinità musicali latenti, sviluppate in ognuno dei suoi membri. Nel processo musicoterapico è indispensabile che il musicoterapista conosca il suo proprio ISO in tutte le sue forme e che arrivi a conoscere anche l’ISO dei pazienti con cui lavora; in base a questa conoscenza si formalizza un progetto d’intervento relativo agli obiettivi da raggiungere e i mezzi da utilizzare per tali fini.

» ISO Complementare: corrisponde ai piccoli cambiamenti dell’ISO culturale..

Il principio dell’oggetto intermediario. Un oggetto intermediario è “uno strumento di comunicazione capace di incidere terapeuticamente sul paziente, senza innescare livelli di allerta troppo intensi”. Benenzon affermoava che gli strumenti musicali e il suono (o i suoni) possono considerarsi oggetti intermediari, legati soprattutto all’ISO culturale, meno all’ISO universale e complementare.

Il modello Benezon è il più utilizzato durante le sessioni di musicoterapia per l’autismo, per le persone in coma o affette da Alzheimer: in questi casi, gli strumenti musicali funzionano da oggetti intermediari per aprire canali di comunicazione.

Affinché uno strumento venga considerato oggetto intermediario, è necessario che riunisca le seguenti caratteristiche: quotidiano e relazionato con l’ISO culturale di ciascuno, facile da utilizzare e da spostare e facile da combinare con altri strumenti.

Chi canta scaccia via ogni preoccupazione.

Cervantes

Il modello comportamentale

Il modello di musicoterapia comportamentale si sviluppa alla fine degli anni 60 grazie alle indagini condotte dal musicoterapeuta Clifford Madsen, il quale scoprì che la musica in sé è un rinforzo del comportamento.
Questo tipo di musicoterapia si basa sullo studio del modello psicologico-comportamentale, il quale partendo dallo studio della coscienza dell’individuo, arriva a focalizzarsi sul suo comportamento per lavorare su di esso ed apportare modifiche. Se si vuole creare un clima di calma e relax, si adotterà una musica con un ritmo tranquillo che preveda movimenti lenti e coordinati; se si vuole aumentare l’entusiasmo del paziente, si utilizzerà una musica con un ritmo più veloce, che lasci spazio ai movimenti.

Questo modello si basa sul concetto di stimolo → risposta: è lo stimolo musicale che aiuterà il musicoterapeuta a trovare la risposta adeguata, immediata e concreta.

La musica viene utilizzata come stimolo o impulso (segnali sonori), come struttura temporanea o struttura di movimento, come centro dell’attenzione e come ricompensa. I campi di applicazione di questo modello nella musicoterapia sono vari: si utilizza come sostegno alla pedagogia speciale per migliorare l’ascolto e il rapporto con gli altri; per eliminare i comportamenti ripetitivi e, in geriatria, per intervenire sull’agitazione, sull’insonnia o sull’aggressività.

Il modello di Immaginazione Guidata e Musica (GIM)

Il modello di Immaginazione Guidata e Musica, basato su correnti umaniste, fu creato nel 1973 dalla musicoterapeuta e violonista Helen Bonny, che utilizzò la musica classica per esplorare gli stati di coscienza alterati.

Si considera un metodo di musicoterapia ricettivo, poiché i cambiamenti e le trasformazioni interne vengono stimolate attraverso l’ascolto della musica classica e le immagini che questa può generare. Questa esperienza può condurre al potenziamento dell’autoconsapevolezza, dell’espressione individuale e della percezione spirituale.

Per iniziare le sessioni è necessario che la persona sia rilassata e che prenda le distanze dalle proprie sensazioni fisiche e psicologiche, per sperimentare altre emozioni, sensazioni o sentimenti attraverso il rilassamento, la respirazione, le funzioni vitali, ecc… ed elaborando un’immagine nitida e globale di se stessa.

Per una buona selezione della musica con fine terapeutico è necessario considerare le associazioni che possono sorgere dall’ascolto dei brani, sia per le qualità, sia perché alcuni possono essere direttamente relazionati con il passato del paziente.

La persona che guida la sessione deve essere fortemente empatica poiché non deve né indirizzare né interpretare l’esperienza, ma instaurare una relazione di comunicazione che possa aiutare l’individuo a comprendere il procedimento e aprirsi nei confronti dell’esperienza, utilizzando il linguaggio per rendere esplicito ciò che sta immaginando.

Una volta concluso il procedimento di immaginazione guidata, si può realizzare un mandala che rappresenti l’esperienza vissuta durante la sessione.

In generale, Bonny segnala i seguenti procedimenti per il GIM:

» Migliorare le esperienze di una persona
» Aiutare a combattere le resistenze
» Rafforzare le risposte emotive e sensoriali
» Guidare lo stato emotivo di una persona
» Fare attenzione alle risposte involontarie
» Promuovere l’integrazione dell’esperienza
» Rafforzare l’idea del soggetto riguardo all’esperienza.

Altri modelli rilevanti

Oltre a questi cinque modelli di musicoterapia accettati in tutto il mondo, esistono molti altri modelli e varianti che vengono utilizzati nella fase pratica. Due dei più conosciuti sono il modello di libera improvvisazione di Alvin e il modello di improvvisazione sperimentale di Bruscia, entrambi basati sull’importanza dell’improvvisazione.

IL MODELLO DI LIBERA IMPROVVISAZIONE DI ALVIN

Questo modello, diffuso da Juliette Alvin, musicoterapeuta e violinista originaria del Regno Unito, è basato sulle correnti psicologiche comportamentali e psicoanalitiche. Secondo questo modello, è necessario che le sessioni di musicoterapia si focalizzino su tre approcci: clinico, ricreativo ed educativo.

» Clinico: la musica è parte integrante delle cure mediche o psichiatriche per problemi di tipo fisico, mentale o emotivo.

» Ricreativo: la musica è utilizzata come diversivo e passatempo. Lo scopo è quello di creare un’atmosfera e uno stato d’animo positivo senza troppi sforzi, per acquisire o migliorare alcuni comportamenti.

» Educativo: la musica viene utilizzata per migliorare e sviluppare alcune capacità, sottolineando l’importanza della sensibilità musicale degli individui.

Gli obiettivi principali di questi approcci sono tre: autoliberarsi, stabilire relazioni con il mondo di vario genere, sviluppare l’area fisica, intellettuale e socio-emotiva. Il termine improvvisazione libera indica che questa metodologia non impone ai soggetti nessuna condizione, regola o struttura; perciò ciascuno può scegliere, creare, intonare e suonare il motivo che preferisce, dal momento che lo strumento rappresenta un oggetto intermediario simbolico. La cosa più importante non è il risultato dell’improvvisazione ma le associazioni e le connessioni che ne scaturiscono.

IL MODELLO DI IMPROVVISAZIONE SPERIMENTALE DI BRUSCIA

Questo modello era concepito, inizialmente, come un metodo che utilizza la danza per sviluppare la creatività, la capacità di esprimere la propria personalità e le abilità sociali. Nel 1978 venne adattato alla musicoterapia da Kenneth Bruscia e si elaborò un modello combinato.

Viene utilizzato il termine “sperimentale” perché il modello riproduce una situazione di laboratorio, in cui le variabili della musica e della danza sono controllate, manipolate e se ne permette liberamente la variazione.

Questo modello include tre attività principali: l’improvvisazione del ballo, l’improvvisazione musicale e le argomentazioni. Durante queste attività, si permette al musicoterapeuta di interagire con gli individui aiutandoli ad esprimersi.

I modelli pedagogici di riferimento della musicoterapia

Sebbene la musicoterapia e l’educazione musicale costituiscano due discipline indipendenti, esistono alcuni modelli pedagogici che, applicati all’educazione musicale, possono essere utili per la pratica della musicoterapia nel contesto dello sviluppo e del benessere personale.

Tra i numerosi modelli presenti, i più conosciuti e funzionali sono: il metodo Dalcroze, il metodo Kodály, il metodo Willems, il metodo Orff o il metodo Suzuki.

IL METODO DALCROZE

Questo metodo si basa sull’idea che il ritmo musicale provenga dai ritmi locomotori e naturali del corpo. Si dà importanza alle sensazioni dell’individuo e al suo modo di esprimerle. Due dei componenti base di questo metodo (oltre all’apprendimento del solfeggio che aiuta a sviluppare l’orecchio interno), sono il movimento ritmico e l’improvvisazione.

Il movimento ritmico: se l’individuo risponde alla musica liberamente e in maniera espressiva, il corpo diventa uno strumento che ascolta, risponde, analizza, interiorizza e stabilisce con la musica un equilibrio mente-corpo.

L’improvvisazione: si stimola l’improvvisazione con la voce e con altri strumenti melodici o percussioni. Solitamente, si lasciano i partecipanti liberi di muoversi a ritmo di musica, di camminare se la musica è tranquilla, adattando l’andamento alla musica. In questo modo ciascuna nota assume un valore distinto per camminare, correre o saltare.

Alcuni degli scopi di questi esercizi sono il rilassamento muscolare, il controllo della respirazione, aumento della concentrazione, lo sviluppo dell’orecchio e del ritmo, il miglioramento dell’equilibrio e del controllo del corpo.

IL METODO KODÁLY

Questo metodo si basa sull’idea che la musica abbia una funzione sociale e che sia un diritto universale: le capacità delle persone si evolvono e si sviluppano di pari passo con la conoscenza dei repertori orali della nazione di appartenenza.

Il metodo stabilisce che le parole e i suoni abbiano un significato ritmico importante, soprattutto la voce e il canto, considerati strumenti perfetti e versatili condivisi da tutto il mondo. Per questo, spesso, si utilizza la voce senza accompagnamento, giochi utili alla creazione musicale, riconoscimento di suoni e melodie, ecc.

IL METODO WILLEMS

Questo metodo concepisce la musica come parte integrante della vita e delle sue sfaccettature e definisce: il ritmo, legato alla nostra fisicità; la melodia, relazionata alla vita affettiva; l’armonia, legata alla vita intellettuale.

L’obiettivo è quello di facilitare le occasioni e le esperienze che coinvolgono l’individuo, per acquisire il senso del ritmo, melodia e armonia e, al tempo stesso, di aumentare la consapevolezza e l’importanza delle componenti sensoriali, emotive e intellettuali dell’essere umano.

Il metodo favorisce la spontaneità partecipativa in tutte le espressioni musicali, permettendo alla persona di ascoltare, cantare, muoversi, pensare, definire, interpretare, ecc…

IL METODO ORFF

Alla base di questo metodo vi sono l’improvvisazione e l’importanza del corpo, della parola, della voce e del movimento.

La parola produce ritmo e musica permettendo di assimilare, con il passare del tempo, schemi ritmici e battute sempre più complessi ed associarli ai movimenti del corpo come camminare, correre, saltare, ecc… per creare un’esperienza integrale della musica. Per prima cosa si sviluppano gli schemi attraverso il canto e solo successivamente attraverso gli strumenti, creati appositamente per questo metodo.
Tutto il metodo si basa, quindi, sulla creazione di una musica propria mediante il gioco e l’improvvisazione.

Dal metodo Orff deriva il metodo Wytack: si rappresenta visivamente la musica attraverso un disegno o un grafico. Con questo metodo si cerca di aiutare a comprendere la struttura della musica, a memorizzarla, a percepirla e a trarne piacere.

IL METODO SUZUKI

Questo metodo assimila la musica alla lingua materna e la considera una forma d’espressione naturale. Il linguaggio musicale non è un talento innato ma si può allenare e sviluppare, specialmente se si inizia dagli anni dell’infanzia, esattamente come accade con il linguaggio verbale.

Per questo, si propone l’integrazione della musica inizialmente attraverso l’ascolto e la pratica orale; in seguito sviluppando le abilità strumentali, cominciando con un solo strumento. Per ultimo, si introduce la lettura e la scrittura musicale.

Il metodo, inoltre, riconosce la musica come promotrice delle relazioni sane e afferma che praticarla in gruppo è fondamentale, in quanto motiva e crea partecipazione e affiatamento tra gli individui.